Indipendentemente
dalle cause, il cambiamento climatico durerà per decenni, generando eventi
metereologici violenti e distruttivi. Tuttavia ciò non è che l’aspetto
percettibile di qualcosa più grave provocato dal modello economico mainstream.
È in atto la distruzione progressiva delle risorse del nostro pianeta in barba
alla declamata sostenibilità: assicurare il soddisfacimento dei bisogni della
generazione presente, senza compromettere la possibilità di quelle future. Un
modello oltretutto anti economico, in quanto i reali costi della distruzione e
inquinamento (esternalità) non sono o, solo in parte, coperti.
Eppure
fra politici ed esperti rimane ferma la convinzione che il modello capitalista
sia il migliore, per alcuni riformabile (capitalismo verde) per affrontare mediante
i meccanismi del mercato i problemi ambientali (tasse, ecc). Ovvero producendo beni e servizi
si distribuisce reddito - tra cui salari - che a sua volta consente di acquistare detti, quindi soddisfare i
bisogni. Il mercato, tramite la dinamica dei prezzi, regola i problemi: quando
vi è scarsità o penuria di risorse, o se
la domanda è troppo alta rispetto all’offerta, i prezzi aumenteranno provocando la contrazione della domanda e
quindi della produzione con quel che
segue, tra cui minor consumi (anche di risorse). Un ragionamento che non fa una
grinza. Vi è però che nella realtà il mercato reagisce solo alla domanda solvibile:
gli imprenditori investono e producono
quando vi sono acquirenti che hanno i
soldi. La produzione diventa così fine a se stessa; anche beni non essenziali di
non primario bisogno: oggetti di lusso, di corta durata di vita. La finalità è
generare profitto. Inoltre il prezzo integra parte dei reali costi, quelli di
produzione noti, non il valore dei beni offerti dalla natura
(acqua, terra, petrolio, disponibili in
quantità limitate..). Infine il sistema
dei prezzi risulta inadeguato a fronte
di effetti che subentrano collateralmente
a seguito dell’inquinamento ( malattie, ecc.), consumo – distruzione di
risorse e che appaiono solo dopo anni,
generazioni, e quando ci si rende conto il danno è irreversibile.
Forza
è di constatare l’inadeguatezza del modello mainstream che sostanzialmente si basa su assunti elaborati tra il ‘700 e ‘800,
quali: risorse naturali abbondanti ed “esternalità ambientali” di poco conto e
circoscritte, ed essendo il pianeta a quell’epoca “poco popolato” (neanche 1
MRD ad inizio 1800), relativamente pochi anche gli oggetti fabbricati dagli
umani. Da allora le cose sono mutate: sia
nella realtà sia nella conoscenza dei meccanismi naturali, invalidando suddetti
assunti. Il pianeta odierno è affollato (circa 8 MRD) e la produzione materiale
e le attività ad essa associate - costruzioni, oggetti, merci in generale - si
è espansa a tal punto da influenzare il sistema climatico con distruzione sistematica
di foreste – vedi Amazzonia - e inquinamento di mari, per non parlare del CO2- e di intaccare
gravemente le limitate risorse del pianeta.
Che
fare? “VIVEMENT 2050, PROGRAMME POUR UNE
ÉCONOMIE SOUTENABLE ET DÉSIRABLE”, opera collettiva di ricercatori di vari
paesi, propone spunti utili per affrontare l’impasse. Vi si afferma la
necessità di “ri-concettualizzare l'economia, ridefinirla e chiarire la sua
vocazione”. Ricordandosi che l'obiettivo dell'economia deve essere quello di
migliorare la qualità della vita e il benessere degli esseri umani in modo
sostenibile. La crescita del PIL -pilastro dell’economia mainstream - è un modo
per raggiungere tale obiettivo, ma non è affatto fine a se stesso”. Prioritario,
in quello che viene definito “Modello
economico ecologico”, è saper trovare «il giusto equilibrio » per
consentire uno «sviluppo prospero del patrimonio naturale, umano e socio
culturale» d’un lato, e dall’altro una «fabbricazione pertinente ed
operazionale di prodotti e costruzioni».
Pubblicato su Area,
Martedì 27 settembre 2019 link
Nessun commento:
Posta un commento