L’inizio ’800 e
la fase attuale, malgrado i contesti radicalmente diversi, hanno varie
analogie, tra cui la grande innova- zione tecnologica – che genera cambiamenti
e scombussola l’ordine esistente – e la necessità per i governanti di saperla
gestire per garantire uno sviluppo prospero ai loro cittadini. La 4a
rivoluzione industriale, denominata web 4.0, è in atto, poggia su sistemi che
consentono una crescente digitalizzazione e robotizzazione delle attività. Come
le precedenti rivoluzioni muove i propri passi, assai lentamente,
apparentemente senza modificare molto l’esistente.
Ma sappiamo
dalla storia e dall’esperienza che la rapidità di diffusione delle innovazioni,
una volta superata la titubante fase iniziale, può diventare travolgente. Basti
pensare a come lo smartphone abbia modificato i nostri comportamenti in meno di
10 anni. L’evoluzione tecnologica negli ultimi 30 anni ha fatto passi da
gigante. La Play Station 3 della Sony acquistabile per meno di 200 fr. ha la
stessa capacità di calcolo del super computer realizzato nel 1997 costato 55
milioni di dollari e che occupava la superficie di un campo da tennis. La
straordinaria potenza di calcolo e di memoria dei sistemi odierni consente di
applicare algoritmi di analisi e previsione che sono in grado di evolvere
automaticamente senza intervento umano, offrendo grandi opportunità
all’intelligenza artificiale. Robot e sistemi informatici odierni non eseguono
solo cose programmate e azioni ripetitive, il salto di qualità è che sono in
grado di apprendere dalla loro esperienza e da quella dei propri simili, perché
essendo in rete condividono costantemente i loro dati e li rielaborano.
Imparano dagli errori commessi
L’esempio più
noto è “Google translate”, lanciato nel 2006 e che in 10 anni ha compiuto
enormi progressi: impara confrontando l’uso delle parole e delle espressioni
utilizzate dagli utenti. Idem per le auto Tesla, che oltre ad avere “molti
occhi e sensori”, elaboratori potenti, sono anche collegate tra di loro e
regolarmente si trasmettono i loro dati, perfezionando e migliorando il loro
comportamento, imparando ognuna dagli errori commessi dalle altre. E siamo solo
all’inizio! Tutte le innovazioni tecnologiche, presto o tardi, hanno generato cambiamenti
importanti sia di prodotto sia nel modo di realizzarli. La questione su cui si
confrontano gli studiosi è sapere quale sarà l’impatto sul lavoro e con quale
velocità si diffonderà web 4.0. La nota analisi dell’Università d’Oxford(a),
pubblicata nel 2013, concludeva che il 47% delle 702 professioni è a rischio.
Oltre a cassiere, magazzinieri e nel futuro prossimo autisti sostituiti da
solerti robot, e autocarri a conduzione autonoma, sotto tiro vi sono l’insieme
delle attività in cui v’è elaborazione e valutazione di dati, quindi toccati
sono anche i colletti bianchi del settore terziario (bancario, assicurativo,
legale). Mentre resteranno “lavori che si basano sui rapporti interpersonali e
richiedono una capacità di giudizio” (esempio: operatori sociali, supervisori
di lavori, riparatori, installatori, artisti e accademici in generale) che non
possono essere rimpiazzati da “algoritmi”. Di ultima ora lo studio svolto dalla
Sup di Lucerna (b), i cui ricercatori, prendendo spunto dalla ricerca inglese, hanno
analizzato cosa può accadere nel nostro Paese. Confermano le tesi di Oxford,
offrendo anche una cartina che mostra come l’impatto sul lavoro sarà maggiore
(fino al 60%) nelle regioni periferiche in ragione di una minor presenza di
accademici (17%) in confronto all’impatto nei grandi centri urbani (45%) dove
gli accademici sono preponderanti (47%).
Professioni esistenti: spariranno
o verranno fortemente modificate
Insomma le
possibili implicazioni di web 4.0 si delineano: spariranno o verranno
fortemente modificate le professioni esistenti, e molte persone – a seconda
delle loro competenze e del luogo dove abitano, perderanno il loro lavoro, o
faticheranno a trovarne uno. Certo vi saranno nuovi impieghi, ma sull’insieme
dei Paesi e regioni economiche più importanti a livello mondiale il saldo sarà
negativo di 5 milioni (7,1 milioni impieghi persi, contro 2,1 di creati) come
dimostrato dall’analisi svolta dal Wef pubblicata nel gennaio del 2016.(c)
La questione sociale
La 1a e la 2a
rivoluzione dell’800 lasciarono centinaia di migliaia di artigiani e operai
senza lavoro e reddito: una tragedia denominata “questione sociale”. Ci volle
quasi un secolo di aspre discussioni tra teorici e tra politici, e tante
manifestazioni e sommosse operaie per convincere i governanti della necessità
di creare un sistema di welfare. Una nuova “questione sociale” si staglia
all’orizzonte, lasciar andare le cose, credendo che il sistema si
“autoregolerà” senza necessità di modificare i paradigmi vigenti, è
sottovalutare l’ampiezza e la velocità con cui avverrà il cambiamento e le
conseguenze derivanti. Atteggiamento teorico ingenuo, e posizione politica
inammissibile oltre che immorale.
Note
(a)Carl Benedikt Frey e Michael Osborne, “Il futuro della disoccu- pazione. Quanto sono minacciati i posti di lavoro dalla
computerizzazione?”Oxford 2013,
(b) I. Willimann, S. Käppeli, Digitale Arbeit und regionalentwiklung, FHSL, 2017
(c) WEF, The Future of Jobs. Employment, Skills and Workforce Strategy for the Fourth Industrial Revolution, 2016
Pubblicato in La Regione, del 4 maggio 2017
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