domenica 11 dicembre 2016

Questione sociale. Una sfida alla democrazia


Tre notizie recenti riguardanti il nostro paese: aumento dei sottoccupati, impennata delle persone richiedenti l’assistenza nel 2015, i costi generati dall’insorgere di malattie psico somatiche provocati da stress al lavoro, precarietà del lavoro, disoccupazione di lunga durata ammontano a 5,7 MRD di Fr. Segnali tenui certo, ma indicatori di un crescente disagio generato da un sistema socio economico che non offre lavoro per tutti, che dispensa remunerazioni a volte insufficienti per vivere, e che fa ammalare sempre più persone. Riaffiorano fenomeni sociali di precarietà, indigenza, povertà simili a quelli provocati dalla rivoluzione industriale dell’800 e che si pensava appartenessero definitivamente al passato. Allora il fenomeno che buttò nello sconforto milioni di persone fu denominato “la questione sociale”. Certo la povertà odierna è ben diversa da quella “stracciona” rappresentate nelle fotografie di quei tempi. Da noi è strisciante, quasi “invisibile”; tocca indistintamente: svizzeri e stranieri domiciliati, con famiglia o single, che parlano e vestono come noi. Sono persone che lavorano ma il loro reddito è al disotto della soglia di povertà (working poor), oppure hanno perso il lavoro, e quando beneficiano di un periodo di disoccupazione, faticano a ritrovare un nuovo impiego duraturo; oppure fanno lavori interinali , a tempo determinato, su chiamata, senza avere regolarità, o ancora sono sottoccupati. Donne e uomini, giovani e over 45 che pur avendo una scolarità o un titolo di studio secondario superiore, o un certificato di capacità professionale, per i più “anziani” pure un’esperienza di lavoro anche lunga, vivono nell’incertezza del giorno per giorno, sovente nell’ansia perché non vedono “la luce del fine tunnel”. Cambiamento accelerato che associato ad un ambiente in mutamento continuo, destabilizza, provocando sentimenti di incertezza, confusione, angoscia, anche d’irritazione, apatia e/o violenza; può creare panico, derivante dall’incapacità di saper governare quanto avviene. Ciò in misura maggiore per individui e gruppi “fragili”, meno dotati di risorse (sia cognitive, sia materiali, sia relazionali), incapaci di gestire il presente, e ancor meno il loro avvenire. Perché viene loro a mancare ciò che l’economista Schumpeter considerava essenziale per affrontare la “distruzione creatrice” che accompagna i fenomeni di ristrutturazione ed innovazione capitalistici: che gli individui non si facciano problemi a fronte del cambiamento, le conseguenze derivanti e di ciò che può loro capitare. Oltre tutto le persone investite da suddetti fenomeni di emarginazione economica, pur lavorando in modo continuato o a “singhiozzo”, e pur beneficiando degli ammortizzatori sociali non potendo contribuire regolarmente al 2° pilastro, e neppure accantonare un risparmio, non disporranno di un reddito di vecchiaia sufficiente al momento del pensionamento. La crisi sociale che si sta stagliando all’orizzonte è tosta: una “bomba” a scoppio ritardato. Nell’800 “la questione sociale” allarmò i politici progressisti e persino anche la chiesa. Oggi la maggioranza dei politici è smarrita, brancola, sembra non cogliere i segnali dell’incombente tragedia; si affida ad un’agognata, nuova fase di crescita nella speranza che essa generi pieno impiego, e quindi rimetta le cose a posto. Sembrano non capire, o di non voler capire che il cambiamento dell’organizzazione del lavoro associato alle tecnologie disponibili consentirà di svolgere attività con meno persone; che le politiche attuali di welfare incentrate sul pieno impiego sono oramai inadeguate, e che prolungare la durata del lavoro e dell’età di pensionamento oltre a non risolvere, addirittura peggiora la situazione. Procedere sulla via attuale; significa andare incontro ad un periodo di forti tensioni, anche violente. Per disinnescare la “bomba della questione sociale” occorre un cambiamento radicale. Consci che in democrazia il cambiamento va prodotto senza l’uso della violenza1, gioco forza per la politica ripristinare e rivalorizzare la dinamica con la società civile e sue organizzazioni per capire i problemi ed individuare le possibili soluzioni. Lo seppe fare la giovane democrazia dell’800 quando proprio sulla questione sociale, confrontata con la pressione rivendicativa, a volte anche violenta, dei vari attori della società civile trovò ascolto nei politici progressisti, permettendo di individuare soluzioni e assetti istituzionali per affrontare i problemi. Saprà la nostra emulare tale capacità? 


1 Dahrendhorf R. : Dopo la democrazia, Laterza, 2001


Pubblicato in "La Regione" del 18 novembre 2016

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