Non mi riferisco ad un risultato di disco su ghiaccio, ma alla capacità del nostro paese di affrontare le sfide
del futuro, quelle che se non iniziamo ora a riflettere e sperimentare tra 30 anni ci faranno trovare
impreparati, mettendo a soqquadro il benessere, la sicurezza, la qualità di vita che con tanta tenacia, ma
anche sacrificio i nostri predecessori ci hanno consegnato. Ora è il nostro turno trovare una risposta
innovativa. Penso ai problemi che affliggono le economie avanzate, tra cui la nostra, messe in affanno: la
domanda stagna, i redditi da lavoro pure: il motore economico è imballato. Le aziende “sgrassano” e
sfruttando le opportunità delle nuove tecnologie modificano l’organizzazione del lavoro, razionalizzano e/o
delocalizzano. Muta il contenuto del lavoro e con esso le qualifiche richieste. Conseguenza: oltre
all’espulsione di lavoratori poco qualificati, cresce la percentuale degli interinali, delle persone assunte a
tempo determinato, su chiamata; mentre i giovani faticano ad entrare nel mercato del lavoro, e gli over 50
disoccupati a rientrare. Ingrossa il numero dei precari che guadagnano da vivere nel presente, che
risultano però sguarniti dal punto di vista dei contributi assicurativi: salvo quelli all’AVS, scarni o nulli
quelli per la pensione, mentre marginale il risparmio. Di rimando le assicurazioni sociali - che dovrebbero
assicurare un reddito a coloro che vanno in pensione - incontrano sempre maggiori difficoltà di
finanziamento. Insomma il sistema attuale è destinato ad andare in tilt. Facit: se non s’intraprende
qualcosa tra 20 anni scoppierà una “bomba sociale” con una parte importante di popolazione che, benché
abbia lavorato, non avrà un reddito sufficiente per campare degnamente. Che fare? Si può cacciare la
testa nella sabbia, sperare nell’oracolo, come fa il CF, e la maggioranza del parlamento, oppure si guarda
in faccia al problema e, a carte scoperte, si ammette: non abbiamo una soluzione certa, dobbiamo
cercarla. Il governo finlandese ha scelto la seconda opzione, prendendo il toro per le corna, ha deciso di
percorrere un’altra strada: sperimentare il reddito di base durante due anni onde poter osservare cosa
accade, tirare insegnamenti, poter verificare le ipotesi di economisti, sociologi, psicologi. Gli economisti
concordano: necessitiamo dati concreti senza i quali non potremo mai verificare la teoria. La popolazione
ha aderito a larga maggioranza all’idea del Governo; anche gli scettici riconoscono che non disponendo di
alternative valide è giusto provare. In Svizzera popolo dovrà decidere se cercare una soluzione o
continuare a navigare a vista. Il testo dell’iniziativa è chiaro: “La Confederazione provvede all’istituzione di
un reddito di base incondizionato. Il reddito di base deve consentire a tutta la popolazione di condurre
un’esistenza dignitosa e di partecipare alla vita pubblica. La legge disciplina in particolare il finanziamento
e l’importo del reddito di base”. Tutto qui, nessuna applicazione immediata, nessuna cifra, nessuna
bancarotta, nessuna improvvisazione, o collasso finanziario; si procederà a passi, con la stessa
chiaroveggenza che nel lontano 1918 ha guidato i politici, i quali a fronte dell’emergenza di assicurare un
reddito minimo a pensionati e superstiti decisero di istituire il principio dell’AVS. Ci vollero 30 anni per
realizzarla. Anche noi a distanza di 100 anni, confrontati con i cambiamenti strutturali avvenuti e in corso,
abbiamo l’opportunità di incaricare il CF e i politici di precisare il meccanismo adeguato per garantire ad
ognuno il diritto sacrosanto di avere un reddito che gli consenta di vivere dignitosamente. Per farlo è
necessario osare e percorrere una via diversa, certo poco conosciuta, ma non rischiosa, o folle come
afferma qualcuno. Il potere di decidere è nella testa del cittadino: dire Si significa voler affrontare il
problema e cercare la soluzione adeguata. Non è battere la Finlandia, ma almeno un pareggio.
Pubblicato in La regione, del 24 maggio 2016
Pubblicato in La regione, del 24 maggio 2016
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