Festival 2.0: per un diritto alla
cultura
Il successo di pubblico del Festival
di Locarno è una costante. Anno dopo anno assistiamo alla pacifica invasione di
“festivalieri” provenienti da ogni parte del mondo. Molti ovviamente gli
abitanti locali che approfittano della prossimità dell’importante evento
culturale. Nel corso dei suoi 67 anni di vita il festival ha cambiato “pelle”
con varie formule, tuttavia ha mantenuto una sua caratteristica, quella di proiettare film in uno spazio
aperto: nei primi anni nel parco del Grand Hôtel, poi, dopo una breve pausa di
“sperimentazione autunnale”, in Piazza Grande. Un problema è invece rimasto
immutabile e irrisolto, diventato col passare degli anni acuto, quello
dell’accesso: l’esclusione di molti, vuoi per questione logistica (spazio
disponibile limitato); vuoi per questione finanziaria (prezzo d’accesso fuori
portata per molti). D’altronde la decisione di riservare ulteriori posti in
piazza mediante un supplemento di prezzo non ha raccolto l’unanimità, anzi! Oltre
all’importante questione se, ed in quali circostanze, e a quali condizioni -
tra cui quelle finanziarie - sia lecito concedere lo spazio pubblico per lo
svolgimento di attività extra, centrale ed inderogabile rimane la domanda allorquando
suddette attività ( a volte lucrative) sono accessibili al cittadino solo
mediante pagamento. Una questione non nuova, anzi! Quanto sembrano lontani e al
contempo vicini gli anni della contestazione del post 68, in cui, proprio a
Locarno, con tra l’altro Godard fra i propugnatori, si rivendicò l’accesso
gratuito. Non se ne fece nulla! Anzi in nome l’ideologia dell’autofinanziamento
prima, dei tagli alla cultura e della minor disponibilità degli sponsor poi, la
via perseguita per far “quadrare” i conti è stata quella di aumentare
progressivamente i prezzi d’ingresso. Qualcuno potrebbe obiettare che Fr. 300.-
per il libero accesso a tutte le proiezioni dei 10 giorni di Festival, è una modica
somma alla portata di tutti. Ma è un
ragionamento assai limitato, poco lungimirante. Infatti la “cultura”, nelle varie
sue espressioni, rappresenta un “bene comune”. Il processo di
“democratizzazione” progressiva dell’istruzione e della conoscenza ha prodotto
un’evoluzione delle esigenze delle persone, e con esse la domanda di fruizione
di manifestazioni culturali. Sono oramai
cambiati i “numeri rispetto a quarant’anni orsono: la “cultura e le sue varie
forme” non sono più questione di soli insider, e l’accesso a tali espressioni è
diventata oramai un’esigenza, e come tale un diritto fondamentale, fruibile
senza barriere, che non dovrebbe essere sottoposto a pagamento extra. Qualsiasi
barriera su questioni di diritti primari, quali appunto l’accesso alle
produzioni culturali, rappresenta un “sabotaggio” alle pari opportunità, che,
conduce col passare del tempo ad un indebolimento della società democratica.
Una contraddizione non da poco, se perpetrata, in una società avanzata, quale
la nostra, che si considera migliore delle precedenti. Tornando al tema Festival
del cinema locarnese, come affrontare e risolvere la questione dell’accesso
alla fruizione dei film, aggirando sia la questione generata dalla barriera del
costo d’ingresso, sia l’impossibilità fisica di ospitare tutti i potenziali
interessati, soprattutto consapevoli che la stragrande maggioranza dei film
presenti a Locarno, salvo rarissima eccezione, non sarà visionabile perché non distribuiti
dalle rete commerciali? Una soluzione tecnologica, elegante, al passo con i
tempi del cosiddetto “2.0”, non praticabile nel passato, però esiste. Essa
consiste nello trasmettere in streaming ( “on demand” o “live” come si dice in
gergo) i
film proiettati nelle varie sale del Festival. Evidentemente la visione su uno
schermo TV non è comparabile a quella dell’assistere alla proiezione in piazza
o al cinematografo; tuttavia, almeno dal punto di vista tecnico, il guardare un
film con gli attuali schermi formato cinema rappresenta quasi la stessa cosa
che farlo seduto da fondo piazza. Certo verrebbe a mancare la dimensione
sociale dell’assistere assieme a centinaia o migliaia di altre persone. I problemi
di varia natura (tecnici, diritti di autore, pubblicitari) sono superabili se
si coglie l’importanza della questione: allargare e consentire l’accesso alla
produzione culturale, altrimenti confinata e inaccessibile alla maggioranza. Chissà,
e me lo auguro, che il festival 2.0 non possa essere presto realtà, magari per il suo 68°.
4 agosto 2014
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Ferruccio D’Ambrogio
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