venerdì 8 agosto 2014

Festival 2.0: per un diritto alla cultura


Festival 2.0: per un diritto alla cultura

Il successo di pubblico del Festival di Locarno è una costante. Anno dopo anno assistiamo alla pacifica invasione di “festivalieri” provenienti da ogni parte del mondo. Molti ovviamente gli abitanti locali che approfittano della prossimità dell’importante evento culturale. Nel corso dei suoi 67 anni di vita il festival ha cambiato “pelle” con varie formule, tuttavia ha mantenuto una sua caratteristica,  quella di proiettare film in uno spazio aperto: nei primi anni nel parco del Grand Hôtel, poi, dopo una breve pausa di “sperimentazione autunnale”, in Piazza Grande. Un problema è invece rimasto immutabile e irrisolto, diventato col passare degli anni acuto, quello dell’accesso: l’esclusione di molti, vuoi per questione logistica (spazio disponibile limitato); vuoi per questione finanziaria (prezzo d’accesso fuori portata per molti). D’altronde la decisione di riservare ulteriori posti in piazza mediante un supplemento di prezzo non ha raccolto l’unanimità, anzi! Oltre all’importante questione se, ed in quali circostanze, e a quali condizioni - tra cui quelle finanziarie - sia lecito concedere lo spazio pubblico per lo svolgimento di attività extra, centrale ed inderogabile rimane la domanda allorquando suddette attività ( a volte lucrative) sono accessibili al cittadino solo mediante pagamento. Una questione non nuova, anzi! Quanto sembrano lontani e al contempo vicini gli anni della contestazione del post 68, in cui, proprio a Locarno, con tra l’altro Godard fra i propugnatori, si rivendicò l’accesso gratuito. Non se ne fece nulla! Anzi in nome l’ideologia dell’autofinanziamento prima, dei tagli alla cultura e della minor disponibilità degli sponsor poi, la via perseguita per far “quadrare” i conti è stata quella di aumentare progressivamente i prezzi d’ingresso. Qualcuno potrebbe obiettare che Fr. 300.- per il libero accesso a tutte le proiezioni dei 10 giorni di Festival, è una modica somma alla portata di tutti.  Ma è un ragionamento assai limitato, poco lungimirante. Infatti la “cultura”, nelle varie sue espressioni, rappresenta un “bene comune”. Il processo di “democratizzazione” progressiva dell’istruzione e della conoscenza ha prodotto un’evoluzione delle esigenze delle persone, e con esse la domanda di fruizione di manifestazioni culturali.  Sono oramai cambiati i “numeri rispetto a quarant’anni orsono: la “cultura e le sue varie forme” non sono più questione di soli insider, e l’accesso a tali espressioni è diventata oramai un’esigenza, e come tale un diritto fondamentale, fruibile senza barriere, che non dovrebbe essere sottoposto a pagamento extra. Qualsiasi barriera su questioni di diritti primari, quali appunto l’accesso alle produzioni culturali, rappresenta un “sabotaggio” alle pari opportunità, che, conduce col passare del tempo ad un indebolimento della società democratica. Una contraddizione non da poco, se perpetrata, in una società avanzata, quale la nostra, che si considera migliore delle precedenti. Tornando al tema Festival del cinema locarnese, come affrontare e risolvere la questione dell’accesso alla fruizione dei film, aggirando sia la questione generata dalla barriera del costo d’ingresso, sia l’impossibilità fisica di ospitare tutti i potenziali interessati, soprattutto consapevoli che la stragrande maggioranza dei film presenti a Locarno, salvo rarissima eccezione, non sarà visionabile perché non distribuiti dalle rete commerciali? Una soluzione tecnologica, elegante, al passo con i tempi del cosiddetto “2.0”, non praticabile nel passato, però esiste. Essa consiste nello trasmettere in streaming ( “on demand” o “live” come si dice in gergo) i film proiettati nelle varie sale del Festival. Evidentemente la visione su uno schermo TV non è comparabile a quella dell’assistere alla proiezione in piazza o al cinematografo; tuttavia, almeno dal punto di vista tecnico, il guardare un film con gli attuali schermi formato cinema rappresenta quasi la stessa cosa che farlo seduto da fondo piazza. Certo verrebbe a mancare la dimensione sociale dell’assistere assieme a centinaia o migliaia di altre persone. I problemi di varia natura (tecnici, diritti di autore, pubblicitari) sono superabili se si coglie l’importanza della questione: allargare e consentire l’accesso alla produzione culturale, altrimenti confinata e inaccessibile alla maggioranza. Chissà, e me lo auguro, che il festival 2.0 non possa essere presto realtà, magari per il suo 68°.

4 agosto 2014
Ferruccio D’Ambrogio

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