Aggregazioni
un’occasione per la democrazia
Nessuno può oggettivamente
negare la necessità di trovare una forma organizzativa che consenta di
affrontare adeguatamente la gestione istituzionale amministrativa del
territorio cantonale che sostanzialmente è ancora quella sancita dalla legge
del 1803. Il piano delle aggregazioni cantonale (PCA) voluto dal CdS
costituisce una ottima e necessaria base per comprendere la situazione
odierna, porre il problema e trovare la soluzione adeguata.
La partecipazione dal basso,
con l’implicazione dei comuni è posta quale condizione necessaria per
realizzare tale aggregazione; tuttavia leggendo la documentazione sembra
sfuggire l’importanza che il processo di aggregazione è anche un formidabile opportunità
per associare attivamente il cittadino, esercitare
e innovare le pratiche democratiche e
quindi per rafforzare la democrazia stessa. Se appare innegabile la necessità di
un‘azione che sappia utilizzare al meglio le risorse (materiali, finanziarie e
umane) disponibili, altrettanto
importante risulta essere la questione relativa
al ruolo del cittadino e al rapporto
“cittadino – comune”. Già oggi l’assenteismo del cittadino rappresenta
un grave problema che mette in crisi il funzionamento del sistema
democratico. Malgrado i meccanismi di
democrazia diretta la partecipazione alla vita pubblica è da alcuni anni in
costante regresso, anche laddove storicamente vi era un maggior attaccamento,
ovvero le votazioni comunali. In quelle
recenti la partecipazione al voto in molti comuni è stata inferiore al 50%; detto
altrimenti: se votano in 49 sui cento aventi diritto, bastano 25 persone per
avere la maggioranza. Un segnale d’allarme. L’identificazione del cittadino con
il proprio comune, sovente non lo stesso di quello del posto di lavoro, è assai
debole, ma al contempo esigente: oggidì il cittadino tende sempre più a delegare
i compiti al comune e al contempo di esigere, adottando una mentalità da “supermercato”: pago voglio servizi e soluzioni istantanee. Sono oramai rari “gli
indiani” che si “sacrificano” per la cosa pubblica. Memori magari di esperienze
non proprio edificanti: partecipazione a gruppi di lavoro comunali a cui hanno
dedicato ore di lavoro, sfociati in nulla di fatto, o i cui rapporti sono
finiti in qualche cassetto; disincantati dall’esperienza negativa: l’aver
firmato una petizione restata lettera morta, oppure aver investito tempo e
energia per lanciare e sostenere un’iniziativa, poi adottata in sede di votazione, ma che si è
persa per strada per le lungaggini del Municipio nel metterla in atto. Eppure
il cittadino, pur diffidente, ha idee, capacità, competenze che purtroppo sono
poco valorizzate dai comuni. Il
programma d’aggregazione pone due
questioni base:
-
Questione 1: come
realizzare l’aggregazione di per sé auspicabile e giustificata, consentendo
però al cittadino di rafforzare la sua
identità con il luogo dove vive, e di
partecipare attivamente nella ricerca di soluzioni e/o alla loro realizzazione,
superando quell’atteggiamento di: diffidenza, e/o rifiuto e/o di arroccamento
nella difesa di taluni privilegi, e/o di caratteristiche specifiche nel timore
che queste vengano sopraffatte, distrutte? Il fallimento, perché di questo si
tratta, del progetto d’aggregazione dei comuni del locarnese la dice lunga
sull’inadeguatezza della modalità messa in atto: malgrado l’implicazione di rappresentanti degli
municipi, della società civile e del mondo dell’economia. Dopo due anni di elaborazione
il progetto è stato avversato da una parte di alcuni municipi; bocciato dai cittadini tenuti distanti , e
comunque poco implicati dalle
discussioni preparatorie, o informati
sommariamente dai loro esecutivi.
-
Questione 2:
quale forme di gestione attuare nei comuni
che diventeranno più grandi a
livello di superficie e di popolazione, e dove la distanza tra amministratori,
politici e popolazione aumenterà
considerevolmente e con essa il rischio
crescita di quartieri “anonimi” dove la
gente manco si conosce, e vi vive priva di relazioni qualitative, con tutti i
fenomeni associati, in alcuni casi già
evidenti: degrado, insicurezza, aumento della violenza,…? Come gestire, quale ruolo assegnare al
cittadino, quale forme organizzative improntare per affrontare le varie
questioni derivanti dal vivere nel grande comune. Impensabile creare un grande
comune senza al contempo realizzare strutture intermedie che facilitino la
comunicazione, la rilevazione e gestione dei problemi, e soprattutto
l’implicazione attiva del cittadino nel porre e risolvere suddetti problemi. La
complessità dei problemi odierni implica competenze specifiche e
variegate, che un team di funzionari pur
volenterosi e ben preparati non può
disporre. Mentre la messa in rete dei cittadini
e l’utilizzazione sapiente delle loro conoscenze e competenze è molto performante.
Osare implicare attivamente
il cittadino una formidabile occasione che se colta avrà due effetti:
realizzare le aggregazioni vincenti e migliorare la nostra democrazia.
16 gennaio 2014
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