domenica 9 marzo 2014

Aggregazioni un’occasione per la democrazia



Aggregazioni un’occasione per la democrazia

Nessuno può oggettivamente negare la necessità di trovare una forma organizzativa che consenta di affrontare adeguatamente la gestione istituzionale amministrativa del territorio cantonale che sostanzialmente è ancora quella sancita dalla legge del 1803. Il piano delle aggregazioni cantonale (PCA) voluto  dal CdS  costituisce una ottima e necessaria base per comprendere la situazione odierna, porre il problema e trovare la soluzione adeguata.
La partecipazione dal basso, con l’implicazione dei comuni è posta quale condizione necessaria per realizzare tale aggregazione; tuttavia leggendo la documentazione sembra sfuggire l’importanza che il processo di aggregazione è anche un formidabile opportunità per  associare attivamente il cittadino, esercitare e innovare  le pratiche democratiche e quindi per rafforzare la democrazia stessa. Se appare innegabile la necessità di un‘azione che sappia utilizzare al meglio le risorse (materiali, finanziarie e umane)  disponibili, altrettanto importante risulta essere la questione relativa  al ruolo del cittadino e al rapporto  “cittadino – comune”. Già oggi l’assenteismo del cittadino rappresenta un grave problema che mette in crisi il funzionamento del sistema democratico.  Malgrado i meccanismi di democrazia diretta la partecipazione alla vita pubblica è da alcuni anni in costante regresso, anche laddove storicamente vi era un maggior attaccamento, ovvero le  votazioni comunali. In quelle recenti la partecipazione al voto in molti comuni è stata inferiore al 50%; detto altrimenti: se votano in 49 sui cento aventi diritto, bastano 25 persone per avere la maggioranza. Un segnale d’allarme. L’identificazione del cittadino con il proprio comune, sovente non lo stesso di quello del posto di lavoro, è assai debole, ma al contempo esigente: oggidì il cittadino tende sempre più a delegare i compiti al comune e al contempo di esigere, adottando una mentalità  da “supermercato”:  pago voglio servizi e  soluzioni istantanee. Sono oramai rari “gli indiani” che si “sacrificano” per la cosa pubblica. Memori magari di esperienze non proprio edificanti: partecipazione a gruppi di lavoro comunali a cui hanno dedicato ore di lavoro, sfociati in nulla di fatto, o i cui rapporti sono finiti in qualche cassetto; disincantati dall’esperienza negativa: l’aver firmato una petizione restata lettera morta, oppure aver investito tempo e energia per lanciare e sostenere un’iniziativa, poi  adottata in sede di votazione, ma che si è persa per strada per le lungaggini del Municipio nel metterla in atto. Eppure il cittadino, pur diffidente, ha idee, capacità, competenze che purtroppo sono poco valorizzate dai comuni.  Il programma d’aggregazione pone  due questioni base:
-      Questione 1: come realizzare l’aggregazione di per sé auspicabile e giustificata, consentendo però  al cittadino di rafforzare la sua identità con il luogo dove vive,  e di partecipare attivamente nella ricerca di soluzioni e/o alla loro realizzazione, superando quell’atteggiamento  di:  diffidenza, e/o rifiuto e/o di arroccamento nella difesa di taluni privilegi, e/o di caratteristiche specifiche nel timore che queste vengano sopraffatte, distrutte? Il fallimento, perché di questo si tratta, del progetto d’aggregazione dei comuni del locarnese la dice lunga sull’inadeguatezza della modalità messa in atto: malgrado  l’implicazione di rappresentanti degli municipi, della società civile e del mondo dell’economia. Dopo due anni di elaborazione il progetto è stato avversato da una parte di alcuni municipi;  bocciato dai cittadini tenuti distanti , e comunque poco implicati  dalle discussioni preparatorie,  o informati sommariamente  dai loro esecutivi.
-      Questione 2: quale forme di gestione  attuare nei  comuni   che diventeranno più grandi  a livello di superficie e di popolazione, e dove la distanza tra amministratori, politici  e popolazione aumenterà considerevolmente e con essa  il rischio crescita di quartieri  “anonimi” dove la gente manco si conosce, e vi vive priva di relazioni qualitative, con tutti i fenomeni associati, in alcuni casi  già evidenti: degrado, insicurezza, aumento della violenza,…?   Come gestire, quale ruolo assegnare al cittadino, quale forme organizzative improntare per affrontare le varie questioni derivanti dal vivere nel grande comune. Impensabile creare un grande comune senza al contempo realizzare strutture intermedie che facilitino la comunicazione, la rilevazione e gestione dei problemi, e soprattutto l’implicazione attiva del cittadino nel porre e risolvere suddetti problemi. La complessità dei problemi odierni implica competenze specifiche e variegate,  che un team di funzionari pur volenterosi e ben preparati non  può disporre. Mentre la messa in rete dei cittadini  e l’utilizzazione sapiente delle  loro conoscenze e competenze  è molto performante.
Osare implicare attivamente il cittadino una formidabile occasione che se colta avrà due effetti: realizzare le aggregazioni vincenti e migliorare la nostra democrazia.

16 gennaio 2014  

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