martedì 26 aprile 2011

Chernobyl: 25 anni dopo


 Chernobyl 25 anni dopo

Il 26 aprile di 25 anni orsono rimarrà impresso nella memoria di coloro che l’hanno vissuto. Un incubo iniziato in sordina: nei notiziari della notte una succinta e laconica informazione riguardante un incidente in una centrale nucleare, nella lontana unione sovietica, attirò l’attenzione, ma non più di quel tanto. Poi man mano che le ore passavano, l’impressione che qualcosa di grosso fosse capitato si fece sempre più forte e divenne certezza. Il 28 aprile in Danimarca e in Finlandia la radioattività dell’aria fu da 6 a 10 volte superiore rispetto alla normalità. Alle 21.30 dello stesso giorno l’agenzia Tass ruppe il silenzio annunciando l’esplosione avvenuta in un reattore della centrale di Chernobyl. Il mondo si svegliò incredulo. Insomma quello che secondo i calcoli degli esperti sarebbe potuto capitare con una probabilità di una volta ogni due milioni era accaduto: la fusione del nocciolo. L’esplosione seguita dall’incendio della grafite proiettò nell’aria durante dieci giorni una quantità di sostanze radioattive maggiore di quella delle due bombe sganciate su Nagasaki e Hiroschima. Tuttavia una parte importante delle sostanze radioattive restò bloccata all’interno del sarcofago in cemento ed acciaio edificato in fretta e furia da migliaia di “liquidatori”. Eroi certamente, anche se probabilmente ignari del rischio a cui andavano incontro. Il loro sacrificio contribuì a limitare i danni, evitando una contaminazione ambientale ancora maggiore dell’Europa. Nel frattempo erano trascorsi 3 giorni, la nube radioattiva spinta dai venti aveva cambiato rotta dirigendosi verso l’Europa centro occidentale. Le piogge generate dalla depressione fecero precipitare le sostanze radioattive – purificando l’aria ma inquinando irrimediabilmente il suolo. Nel nostro paese le parti più colpite furono quelle della Svizzera orientale, e soprattutto il sud delle alpi. In Svizzera una cellula di crisi governava la situazione, improvvisamente, e senza volerlo, in quella primavera eravamo entrati in guerra, una strana guerra con un nemico invisibile: la radioattività. I media davano informazioni rassicuranti, senza però spiegazioni convincenti; qualcuno andò alla televisione a spiegare che si poteva lavare e spazzolare l’insalata per togliere le sostanze radioattive. Vi fu, da parte di moltissimi - soprattutto genitori con bimbi piccoli - la corsa a cercare cibi a lunga scadenza non contaminati, soprattutto latte in polvere e alimenti imballati prima della fatidica data. Ci rendemmo conto quanto fosse difficile orientarsi: gli imballaggi portavano la data di scadenza ma non quella di produzione, non risultava facile sapere se prodotto prima o dopo l’incidente. In 25 anni praticamente nulla è cambiato nella comprensione della questione nucleare da parte della popolazione, ed è rimasto sostanzialmente uguale il livello di disinformazione su quanto realmente accaduto. Oggi come allora pochi gli sforzi delle autorità per divulgare e rendere comprensibile la questione. Molte titubanze, molte affermazioni vaghe. Con la scusa del “non creare allarmismi”; anche allora si preferì passare l’acqua bassa, non consentendo libero accesso all’informazione. Le dichiarazioni rassicuranti e al contempo inaccessibili lasciavano solo il cittadino con le sue ansie e paure. Gli effetti sulla salute derivanti dall’incidente di Chernobyl sono rimasti fonte di speculazione e conclusioni contrastanti. Sono stati avviati studi, ma non tutti quelli che si sarebbero dovuti svolgere. L’Organizzazione mondiale per la sanità (OMS) ha palesato enormi difficoltà e perso molte opportunità per accertare l’impatto sulla salute. Cosa certamente non facile viste le circostanze. In realtà vi è stata una grande ingerenza da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), ente promotore delle tecnologia nucleare, che ha influenzato fortemente i lavori. Cinque anni orsono gli esperti scelti dall’AIEA per il Forum di Chernobyl stilarono un lungo rapporto che, pur riconoscendo la gravità di quanto accaduto, tendeva a relativizzare l’influsso sulla salute; secondo tale rapporto nei 20 anni intercorsi le radiazioni di Chernobyl avevano ucciso soltanto 56 persone, tra cui 47 soccorritori e 9 bambini deceduti per cancro alla tiroide. La diffusione di tali dichiarazioni, riprese con grande pubblicità dai media, rappresentò un vero e proprio depistaggio, ed una boccata d’ossigeno per la lobby nucleare intenta a rilanciare le centrali atomiche. Le reazioni non mancarono, come quelle della CRIIRAD o di Greenpeace, anche se la stampa non dette loro lo spazio necessario. Recenti studi e ricerche di medici, biologi russi e bielorussi tradotti in inglese e riportati negli Annals of the New York Academy of Sciences nel 2009 dimostrano la falsità e quanto riduttive siano le conclusioni dell’AIEA e del Forum Chernobyl (vedasi anche il Bollettino dei medici svizzeri No 25-2010). A detta di specialisti il numero di vittime delle radiazioni artificiali generate da Chernobyl sarà di alcune centinaia di migliaia di persone: alcune già decedute, altre che lo saranno negli anni a venire, e altre ancora che sono o saranno fortemente debilitate e condizionate nella loro esistenza da malattie generate dalle radiazioni! Perché la radioattività è invisibile, agisce oltre tutto in modo differenziato sulle persone, si manifesta a distanza di anni, a volte in associazione con altri fattori, dando luogo a malattie e disturbi diversi, per cui risulta difficile riconoscere una relazione immediata di causa effetto tra irraggiamento e insorgere della malattia. Il costo umano, sociale, ambientale di un incidente grave come quello di Chernobyl o quello di Fukushima è altissimo: inammissibile dal punto di vista etico, insopportabile dal punto di vista economico: per l’Ufficio federale dell’ambiente un tale vento in Svizzera causerebbe costi fino a 4000 miliardi di Fr.



25 aprile 2011                      Ferruccio D’Ambrogio 

Pubblicato in La Regione del 26.4.2011 

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