domenica 20 marzo 2011

Intervento in Libia


Un’altra cultura per la pace e la democrazia
Mi dissocio dalla strategia della “guerra chirurgica” senza “effetti collaterali” ingaggiata  per l’esportazione della democrazia. Denuncio l’unilateralità e la cecità della politica internazionale dominata dalla cultura della guerra che ha:
-       sabotato  la ricerca di una soluzione  al conflitto che consisteva nel considerare la proposta di lasciare partire in esilio Gheddafi e la sua famiglia; proposta che avrebbe consentito una transizione con il coinvolgimento dei Libici. Gli USA – che tra l’altro non riconoscono la validità per sé stessi del tribunale internazionale, ma che lo invocano per gli altri paesi – ponendo la condizione che il colonnello fosse differito alla corte internazionale per crimini contro l’umanità, hanno fatto naufragare il discorso;
preparato e organizzato nei dettagli  l’intervento militare ancora prima del dibattito all’ONU, decisione presa con 5 astensioni di peso tra cui Germania, Russia, Cina
-     scartato l’opzione della tregua con l’invio di truppe ONU
-     deciso d’intervenire senza lasciare il tempo di mettere in atto le richieste e di verificarne con la presenza di osservatori indipendenti la messa in esecuzione delle misure richieste;
-    giustificato  l’intervento armato per salvare civili, sapendo che lo stesso intervento “chirurgico” provocherà migliaia di vittime (come lo fu in Serbia, Kosowo, Irak) e getterà probabilmente il paese in una lunga fase di sanguinosa instabilità;
-    adottato la politica dei due pesi e due misure: intervento armato in Libia per salvare i civili rivoltosi e al contempo fornitura di armi ad altri governi dittatoriali che reprimono e sparano sulla folla.
Quale fiducia e legittimità dare a stati, promotori e/o autori dell’intervento  militare,  che fino a ieri chiudevano gli occhi su  quanto accadeva all’interno degli  “stati amici” (es. Egitto, Tunisia e la stessa Libia) e  che anzi appoggiando economicamente e militarmente tali governi, ritenuti oggi dittatoriali e sanguinari, assicuravano all’occidente privilegi ? Come non leggere in simile voltafaccia un opportunismo meramente  politico che mira al mantenimento del controllo di risorse strategiche: petrolio, gas in primis. La Libia, appunto, detiene con le riserve petrolifere maggiori, dopo l’Irak.
Occorre un’altra cultura per uscire dal colonialismo. La conquista dell’indipendenza degli stati colonizzati non ha condotto automaticamente  alla fine della dominazione occidentale, ma ad una modifica della sua articolazione: non più esercitata direttamente  mediante la presenza fisica, ma indirettamente tramite gli autoctoni “fedeli” a certi interessi, a cui si sono lasciati evidentemente molti privilegi,  diventati poi tiranni. In Egitto e in Tunisia il vento della rivolta popolare e civile ha portato alla cacciata dei tiranni usurpatori, tuttavia la strada all’instaurazione di uno stato  “democratico”,  è ancora lunga, anche se comunque le premesse sono favorevoli. L’intervento militare occidentale  in Libia invece non lascia presagire nulla di buono: apre di fatto un periodo di grande instabilità e sofferenza interna. Per gli strateghi della “democrazia esportata” è un effetto collaterale insignificante e di poco conto a confronto  degli enormi benefici  che si preannunciano per  i “liberatori” e le loro imprese.  Irak docet. L’intervento militare in Libia è una brutta copia di quanto fatto in precedenza; purtroppo un passo indietro che, in questo periodo storico, ribadisce arrogantemente la supremazia della cultura dello guerra come solo e unico mezzo per affrontare una situazione conflittuale e raggiungere una pace: quella che fa comodo ai più forti.

20 marzo 2011                                                  Ferruccio D’Ambrogio



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