mercoledì 18 marzo 2020

Riorientare il modello economico

“Il virus ha dimostrato di essere in grado di entrare negli ingranaggi del sistema mettendolo in crisi in quattro e quattr’otto. E siccome è successo una volta, a bocce ferme si dovrà riflettere sul come fare affinché il copione non si ripeta. È quindi auspicabile che, superata l’emergenza, la crisi generata dal Covid-19 ci spinga a una riflessione più profonda sulla necessità di riorientare il nostro modello economico imperante “ scrive il dir. Caratti nel suo editoriale dell’11 marzo.


Le ripercussioni sul sistema economico, sociale provocato dalla rapidissima diffusione del Coronavirus, lasciano allibito il comune cittadino, ma hanno colto impreparati anche i governanti. Quanto stiamo vivendo non è simulazione, bensì realtà con pesanti e dolorosi risvolti sia sociali sia personali. Ma anche conseguenze economiche per aziende e personale toccati dalle misure di contenimento. È venuto alla luce un fattore sottovalutato o ignorato: la  debolezza del sistema economico globalizzato dipendente da una sola area. La lunga e complessa catena di produzione della fabbrica mondo  si è bloccata, quando le autorità cinesi hanno messo in quarantena dapprima  Wuhan, epicentro dell’epidemia, metropoli di oltre 11 milioni di abitanti,  capitale della regione Hubei, il nodo ferroviario più importante della Cina. È la Detroit cinese dell’automobile, la valle dell’ottica (¼ delle fibre ottiche mondiali) e uno dei maggiori poli dell’elettronica, soprattutto componenti, che con altre distretti tecno industriali cinesi, pure toccati dalle ferree misure governative,  alimenta anche il just in time dei paesi occidentali


Nel 2002, la Cina rappresentava solo il 4% di questo commercio. Oggi la sua quota è quasi del 20%. Un rallentamento o interruzione delle forniture si ripercuote direttamente sull’attività di aziende anche in tutto il mondo in una sorta di effetto domino; anche  nella  nostra Elvezia.  Senza contare che la dipendenza arrischia addirittura di generare penuria beni di prima necessità come i prodotti farmaceutici di uso corrente  - vedi Dafalgan – provenienti dalla Cina. “Il "business as usual" non è più un'opzione” scrive Isabel sottosegretaria della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (CNUCES)-  ciò di cui abbiamo bisogno è un modello di organizzazione dell’ economia  aperto, più diversificato in termini di produzione e con catene del valore più brevi: un forte argomento a favore dell'integrazione regionale”. È una buona premessa, anche se non nuova: è dagli anni 70 che gli esperti, inascoltati, propugnano diversificazione e sostenibilità.


D’altronde ora non c’è altra scelta, pressati anche dagli effetti del cambiamento climatico e da quelli di industria 4.0 che, con IA e robot, sostituisce le persone in ambiti finora di solo competenza umana.

Onde evitare sorprese ed impreparazione gioco forza anticipare ed iniziare già sin d’ora a definire le condizioni umane, sociali, ambientali cui il futuro modello d’economia dovrà rispondere. È un compito della politica. Ma il treno degli auspici arrischia di andare nella direzione contraria:

Ursula von der Leyen, presidente dell’UE, ha dichiarato che intende giungere a siglare il nuovo trattato Ttip per liberalizzare il commercio Usa-Ue entro un mese… Insomma i grandi gruppi tecno industriali e i potenti fondi d’investimento non mollano la presa. Come dire: addio sostenibilità e diversificazione!  Politici e partiti dovranno dimostrare capacità di voler innovare. Ai cittadini e loro associazioni, spetta il compito di esercitare pressione affinché non si perda di vista l’obiettivo.



Pubblicato in La Regione, 18 marzo 2020

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